“O Maledizione! / mi fai scandire questi versi, / mentre in terra cupidi mortali / pensano solo ad ogni genere / di commerci non di cielo, / ma di amato oro. / Oh, sono io maledetto, se io solo / in questa città tremenda / non posso dimenticare / quanti senza pace e senza casa / trascorrono il tempo della triste notte / nei trivi, ombre tra le ombre.”
Piace ricordarlo con questi suoi versi di “Notte Americana”, Joseph Tusiani. Solo lui, con la sua sensibilità da migrante poteva capire meglio di chiunque altro gli ultimi. È venuto a mancare lo scorso 11 aprile a New York . La sua vita è stata sempre sospesa tra i due continenti, tra i vicoli stretti in calce bianca del piccolo Comune dauno che gli diede i natali e le Avenue della Grande mela.
I suoi versi hanno segnato la storia della letteratura americana, tanto da diventare vicepresidente della Società di poesia americana, come racconta Furio Colombo nel film Finding Joseph Tusiani the poet of two lands diretto dalla regista Sabrina Digregorio.
Il docufilm di Eurybia si apre con una scena ben precisa: Tusiani, ormai anziano, che cammina tra le stradine del suo paese di origine da cui andò via a 23 anni insieme alla madre per raggiungere il padre, sua eterna chimera. Chi è veramente Joseph Tusiani? Un uomo che ha declinato diversamente il mito dell’emigrante alla ricerca di successo negli Usa: non alla ricerca di denaro, non alla ricerca di una certa influenza politica, ma solo di poesia.
“Incontrandolo si ha come l’impressione di incontrare un albero con tutti i suoi rami e tutti i suoi frutti e quindi con la continuità che ha un albero piuttosto che una persona che si sposta. Raramente ho incontrato una voce in inglese così perfetta, piena e autorevole. Il suo italiano non aveva le tracce della nostalgia e il suo inglese non aveva le tracce del nuovo arrivato”
spiega nell’introduzione Furio Colombo.
Al centro della sua vita e del suo successo ci fu una donna, Francesca Vinciguerra o Frances Winwar (come volle chiamarla il suo editore). A lei si deve la scoperta dei versi del poeta foggiano. Siciliana d’origine, la Winwar coltivava la passione per la poesia del giovane Joseph insieme ad un amore profondo spezzato dai tanti anni che li separavano anagraficamente. “Io – raccontò il poeta nel film documentario di Sabrina Digregorio – non sapevo cosa avrei fatto, certo volevo scrivere. Volevo scrivere come lei”. È stata la poesia a rendere eterno il loro amore.
Se Tusiani è stato il più grande latinista e traduttore di opere classiche negli Stati Uniti, lo si deve anche all’impronta di Winwar, prima a tradurre in inglese il Decamerone di Boccaccio.
“Se l’amore non fosse incantesimo, sarebbe senza dubbio pazzia” scriveva la poetessa.
Come dicevamo, un altro punto fisso nella vita di Tusiani, è stato il padre, emigrato quando lui aveva solo sei mesi. La vita del poeta nel Gargano era fatta di solitudine, povertà, sempre vicino alla madre sarta che lavorava anche di notte per permettergli gli studi. Nel piccolo cresceva il mito del padre mai conosciuto, il mito del bambino che aveva “il padre di carta”, visto solo in fotografia e tanto desiderato.
Frequentò il ginnasio presso gli istituti comboniani prima a Troia (sempre in provincia di Foggia) poi a Brescia e a Venegono Superiore (in provincia di Varese). Un oscillare tra il nord ed il sud dell’Italia per compiere l’anno di noviziato in realtà mai completato.
Joseph Tusiani completò i suoi studi liceali a San Severo, per poi iscriversi, con i sacrifici della madre, all’Università di Napoli. Si svegliava alle 2 di notte e raggiungeva la città sui carri bestiame fino al 1947, anno della sua laurea. Lo stesso anno, avvenne il fatidico incontro, il primo, con il padre, appena sbarcato, insieme alla madre, dalla nave Saturnia al molo 86 di Manhattan: “Nuova York, Nuova York. Ma dentro di me io dicevo mio padre, mio padre” scrisse Tusiani nella sua biografia “In una casa un’altra casa trovo” edita da Bompiani nel 2016.
Il padre è sempre stata figura centrale per Tusiani come il Gargano. Sono gli estremi del suo sogno. Il padre sogno della fanciullezza e della prima gioventù. Nell’ultima fase della sua vita raggiungeva ogni anno in primavera il suo Gargano, la sua terra, il suo sogno di vecchiaia. Lui non ha mai dimenticato l’Italia e le sue origini.
“Gargane mia, te scrive questa lettera/ pe’ ffàrete capì che, dallu iurne/ che sso’ partute, me vì sempe ‘nzonne/ come vè ‘nzonne allu zite la zita,/ come vè ‘nzonne allu figghie la mamma.” scrisse in “La léttera ma’ ‘mpustata”. (Gargano mio, ti scrivo questa lettera per farti capire che, dal giorno in cui sono partito, ti sogno sempre, come il fidanzato sogna la fidanzata, come il figlio sogna la mamma).
Docente nel Bronx, lavorò inizialmente per tanti anni al fianco degli italiani e dei sammarchesi in particolare, cittadini del Sud Italia, del Sud del mondo. Ed è in quegli anni che Tusiani trovò in Manhattan “lo sprone delle mie attività intellettuali” per diventare, poi, scrittore, traduttore e poeta.
Emanuela Carucci